HomeLa medicina del territorio

Medico di Famiglia verso la Riforma

Medico di Famiglia verso la Riforma

Il mondo dei medici di base sta affrontando una vera e

propria rivoluzione. Oggi i medici di famiglia sono

liberi professionisti inseriti in un contesto regolato da

convenzioni nazionali o accordi collettivi nazionali.

L’ipotesi di riforma del Ministero della Salute prevede

il passaggio dei medici di famiglia all’interno del

Servizio Sanitario nazionale come dipendenti che

prevede una estensione ad altri compiti, con il rischio

che venga meno il rapporto di continuità, di fiducia

che ha sempre caratterizzato il lavoro del medico di

famiglia.

In attesa che le Regioni competenti in materia di sanità

si esprimano il dibattitto si arricchisce di proposte

alcune delle quali potrebbero contribuire a trovare una

soluzione positiva del problema per mantenere il

rapporto di fiducia tra medico di famiglia e paziente.di

Fulvia Sisti1

MEDICI DI FAMIGLIA: VERSO LA

RIFORMA

FARE CHIAREZZA

Il mondo dei medici di base sta affrontando una vera

e propria rivoluzione. Oggi i medici di famiglia sono

liberi professionisti inseriti in un contesto regolato da

convenzioni nazionali o accordi collettivi nazionali.

L’ipotesi di riforma del Ministero della Salute prevede il

passaggio dei medici di famiglia all’interno del Servizio

Sanitario nazionale come dipendenti. Il punto cardine

della riforma prevede che i medici di famiglia oltre che a

coprire la tradizionale attività di assistenza dei loro

pazienti, vengano utilizzati anche all’interno dei nuovi

presidi territoriali come le Case e gli Ospedali di

comunità. Questa estensione ad altri compiti comporterà

però una rotazione di presenze dei medici di volta in volta

disponibili, facendo venir meno il rapporto di continuità,

di fiducia che ha sempre caratterizzato il lavoro del

medico di famiglia.

In attesa che le Regioni competenti in materia di sanità

si esprimano il dibattitto si arricchisce di proposte alcune

delle quali potrebbero contribuire a trovare una soluzione

positiva al problema. Innanzitutto liberiamo il campo da

pregiudizi, ovvero:

1) MANCANO I MEDICI. Non mancano i medici.

In realtà manca una nuova regolamentazione della

formazione che permetta contemporaneamente, come recita

il dettato della Comunità Europea, ai medici che lavorano

di formarsi (abilitazione necessaria per essere assunti a

tempo indeterminato), e ai medici che stanno facendo

formazione di lavorare. Solo così si avrà un numero2

maggiore di medici attivi. Altrimenti la formazione come è

regolamentata oggi in Italia, sarà sempre il collo di

bottiglia dell’accesso dei medici alla professione. In realtà i

medici ci sono, vanno utilizzati e distribuiti, in modo

diverso.

2) IL MEDICO DIBASE GUADAGNA DI PIU’DEL

MEDICO DIPENDENTE. I medici di base affermano

che al netto delle spese il medico di famiglia essendo un

libero professionista (si paga le ferie, il sostituto per

malattia, affitto ambulatorio, stipendio alla segretaria, ed

altre voci) guadagna come un medico dipendente.

3) IL MEDICO DI BASE LAVORA POCHE ORE.

Dimostreremo con testimonianze dirette che, esclusa

l’eccezione che conferma la regola, le medie orarie di

presenze del settore dimostrano il contrario.

4) CON LA RIFORMA SI RISPARMIANO

SOLDI: In realtà il Ministero dell’economia non si è

ancora pronunciato perché mancano i fondi. Vi è il rischio

che la riforma voglia fare affidamento non su una

considerevole assunzione di nuovi medici ma sul

maggiore utilizzo di quelli che già ci sono a scapito della

qualità del servizio di assistenza ai cittadini.

LE SOLUZIONI

Le soluzioni che vengono proposte possono sventare il

rischio di un ulteriore fuga di medici all’estero o

dell’utilizzo di cooperative che impiegano i loro sanitari a

gettone.3

CAPITOLO I

La proposta dei medici di famiglia

Il dott. Roberto Pieralli (1), medico dell’Emergenza

Territoriale, già relatore di una proposta del Ministero

della salute per una riforma della medicina del territorio

nel 2019, anticipa i rischi a cui andrebbe incontro tutto il

settore dei medici di base se non si invertirà la tendenza di

alcune proposte del Ministero della sanità.

D: Quali sono i danni che ci si può attendere se

venisse approvata questa riforma così come è stata

delineata.

R: Il passaggio dei medi di base da una figura

professionale semi privatistica ad una figura di

dipendente, già approvato da alcune regioni, è un

passaggio drastico. Fino ad ora il principio su cui si

fondavano le cure territoriali è stato un principio di

relazione, di fiducia tra il paziente ed il medico da lui

scelto. Il medico di famiglia lavora da libero

professionista, il termine esatto è “in convenzione” che gli

permette di gestisce autonomamente il proprio studio, di

scegliere liberamente le forme di prestazioni o le soluzioni

mediche da prescrivere ai suoi pazienti. Un lavoro svolto

però non in totale autonomia ma secondo regole condivise

che vengono declinate a livello nazionale, regole appunto

di convenzione come i criteri informativi o di contratti di

lavoro. Una cornice quadro prevista anche a livello locale

dove le singole regioni si danno delle specifiche autonome

ovvero obiettivi di salute, strategie per il trattamento della

popolazione, sempre rispettando il dettato nazionale.

Infine le competenze nel rapporto con i medici di base

passano alle singole Aziende Sanitarie che in base alle

necessità, siglano accordi di assunzione e di formazione.4

D: Quando invece si passasse al rapporto di lavoro

dipendente cosa cambierebbe?

R: Accadrà che si avrà il dipendente “unico. Ovvero un

medico dipendente che ha una attività regolata dalla

burocrazia, da un livello apicale che programmerà i turni,

che assegna le sedi dove lavorare di volta in volta e le

prestazioni da erogare: un giorno c’è un medico, il giorno

dopo un suo collega. Con questa impostazione il ruolo del

management del S.S.N. sarà di organizzare il lavoro dei

medici privilegiando i resoconti di bilancio prima ancora

delle esigenze dei cittadini. In questa catena di comando

le criticità che emergeranno saranno prive di dispositivi di

protezione adeguati.

Uno di questi dispositivi invece è rappresentato appunto

dal medico professionista autonomo (sia la guardia

medica, il dottore del 118, o il cardiologo) che opera in un

rapporto non subordinato ma di parità. Un professionista

che possiede l’anamnesi, il quadro completo del suo

paziente, libero di fare scelte non nel suo interesse ma in5

quello del paziente. Diversamente si corre il rischio che a

parole si vuole mantenere il rapporto fiduciario medico

paziente, ma sul periodo medio breve questo non sarà più

possibile. Pensiamo alla revisione della spesa che vi è

stata negli anni scorsi, che ha fissato il limite del tetto di

spesa del personale. Un tetto di spesa che riguardava solo

il personale dipendente perché il medico convenzionato

aveva e ha una sua posizione autonoma di spesa, ha una

sua autonoma acquisizione di beni e servizi. Se passa la

riforma annunciata anche i medici di famiglia sarebbe

soggetti a limiti del massimale di spesa. E allora sì che si

rischia di aumentare sempre più la carenza di medici.

D: Se l’obiezione fosse che non vi sono soldi?

R: Nel rapporto di convenzione il problema non esiste

perché il medico di base è pagato per quota capitaria, (non

si paga il medico ma il numero dei pazienti). Invece con il

futuro dottore di base dipendente statale è l’azienda

sanitaria che paga il medico lavoratore. Allora sì che hai la

certezza che qualora si esaurissero i soldi non verranno

più assunti nuovi medici. Perché se il sistema sanitario

paga direttamente il medico dipendente saranno necessari6

diversi miliardi in più. Poiché dovrà sostenere non solo la

voce stipendio, ma anche l’assicurazione sanitaria, le

ferie, la malattia i congedi, il TFR, l’affitto

dell’ambulatorio, o l’auto per l’assistenza domiciliare. Se

dal punto di vista sindacale potrebbe essere una

condizione accettabile per il lavoratore, per lo Stato

sarebbe una spesa enorme.

D: Come si è pronunciato il Ministero dell’economia?

R: Fino ad ora è l’unico Ministero che non si espresso.

D: Dunque non si affronta il problema delle risorse?

R: L’unica cosa certa fino ad ora è il blocco della

commissione bilancio per la proposta di aumentare

l’importo della borsa di studio (necessaria per chi si forma

come medico di famiglia per poi passare alla

specializzazione, requisito per esercitare) incrementare il

sussidio dagli attuali ottocento euro a euro milleseicento.

La motivazione avanzata è stata che non ci sono le

coperture.

D: Allora assistiamo al fenomeno delle cooperative che

gestiscono i loro medici a gettone.

R: Le cooperative sono una soluzione di assalto ad un

sistema che non trova risposte ai cambiamenti che

servono. Il personale sanitario si licenzia, il servizio deve

essere garantito e allora le coop si propongono di coprirlo:

con costi alti e chiaramente senza una affezione al

sistema.7

D: In realtà in Italia l’accesso alla professione per il

medico di base è un percorso molto complesso.

Tentiamo di fare un po’ di chiarezza.

R: Un medico che ha completato gli studi, che ha superato

l’esame di stato ed è abilitato all’esercizio della

professione medica generale in tutta l’unione europea,

deve completare un percorso di formazione specifica di

tre anni che gli permetterà di acquisire il titolo di medico

generalista. Questa qualifica consente di lavorare

all’interno del sistema sanitario pubblico in tutti i paesi

membri. In Italia la specializzazione è quasi

esclusivamente appannaggio dell’università tramite un

concorso nazionale. Il medico giovane, laureato e

abilitato, iniziava a fare la formazione magari come

guardia medica, faceva le notti, i festivi, le sostituzioni.

Man mano maturava così esperienza ed acquisiva

punteggi per entrare in graduatoria. Dopodiché può

prendere la convenzione con il servizio sanitario nazionale

e aprire il suo studio di medico di famiglia.

Questo però prevede che l’accesso alla formazione sia

programmato in modo tale che il numero di partecipanti

sia deciso in base alle carenze di organico, ma così non è

avvenuto. L’ultimo bando aperto ad esempio in Emilia

Romagna prevedeva 175 posti, un numero comunque

significativo, ma ampiamente insufficiente a fronte dei

1441 incarichi vacanti.8

D: Lei ha affermato che il peccato originale è stato

programmare male i fabbisogni.

R: Quando in Italia fu progettato per la prima volta, il

sistema per monitorare il numero di medici da formare era

molto ben fatto perché metteva la medicina generale in un

unico grande contenitore con diversi vasi comunicanti tra

settore e settore.

Dal 2014 al 2018 le Regioni ad esempio elaboravano dei

grafici, aggiornati ogni sei mesi, dove si registravano i

numeri dei posti coperti dai medici di famiglia e di quelli

rimasti scoperti dopo il pensionamento degli anziani, cosi

ché la Regione poteva assegnare il numero di nuovi

medici da formare in base alla reale necessità. Poi è

avvenuto che le Regioni hanno calcolato i fabbisogni non

di tutti i settori ma solo dei medici di famiglia.

Escludendo di fatto migliaia di sanitari (tutta la guardia

medica, la medicina degli istituti penitenziari, i servizi

domiciliari per prelievi o trasfusioni, la medicina

scolastica ad esempio) che non sono stati contingentati. A

poco a poco nei grafici della regione compare una nuova

voce che segnalava che nel pubblico non si riesciva a

ricoprire tutta la richiesta dei vari settori, ma la differenza

veniva addebitata solo alla famosa carenza dei medici di

famiglia. Questo ha procurato un effetto domino, perché le

Regioni hanno comunque tenuto operativi i servizi, ma

hanno fatto ricorso a migliaia di precari senza

specializzazione.9

D: Appunto i precari. Lo spieghi meglio.

R: Per tanti anni non si trovava il posto per il titolare del

medico con le carte in regola ovvero che avesse

completato i corsi di formazione, specializzazione. Per cui

ogni sei mesi/un anno per quel posto veniva assegnato

qualcuno anche se neolaureato, che non aveva completato

il corso di formazione, dunque precario.

D: Perché in Italia, contravvenendo al dettato

europeo, chi lavora non può fare formazione e chi fa

formazione non può lavorare?

R: Nel 2011 si cercò di riformare la situazione con il

decreto semplificazione, Decreto Calabria, che prevedeva

che prima di utilizzare persone senza titoli, di impiegare

secondo la Direttiva europea i medici che erano in corso

di formazione. Poi in un secondo step, i medici incaricati

per almeno 24 mesi senza titoli venivano inseriti in una

graduatoria separata, la graduatoria della formazione. In

questo modo si doveva chiudere il “rubinetto” della

carenza dei posti. In 5 anni furono assunti almeno

cinquemila medici. Poi però con il covid quel “rubinetto”

è stato inevitabilmente aperto. La cosa paradossale

avvenuta in questi anni è che finiti i decreti che dovevano

riassorbire le decine di migliaia di persone in servizio, si

sono adottate norme con numero di posti di formazione

più bassi. Bisogna ripuntare al modo di fare formazione,

bisogna seguire il regolamento europeo, perché se non si10

permette ai medici che stanno facendo il percorso di

formazione di lavorare nello stesso tempo il problema gira

su sé stesso.

D: In questo modo ne risentirà anche la qualità dei

servizi erogati.

R: Se il servizio è coperto da pochi medici dovrò

sovraccaricarli di un numero maggiore di pazienti. I medici

non riescirebbero a seguirli come vorrebbero ed il cittadino si

lamenterà perché non ha l’assistenza adeguata. Ripeto il

problema è a monte, nella programmazione dei fabbisogni.

D: Dal punto di vista sindacale la continuità prestazione medico paziente, è garantita?

di

R: Si. Nella nostra proposta il malato, l’anziano, ad

esempio, ha la garanzia di scegliere il proprio medico di

famiglia, ma bisogna aggiornare come detto la

contrattazione, perché si pensa erroneamente che

cambiare solo il contenitore possa risolvere il problema. Il11

problema invece è il contenuto e passare al medico

dipendente sarebbe un vero boomerang. Bisogna ad

esempio ristabilire i carichi di lavoro. Bisogna stabilire

diversi contingenti, diversi rapporti.

D: Che significa?

R: Bisogna ripensare al numero di rapporto tra medici e

assistiti più adeguato. Negli ultimi accordi da dieci anni a

questa parte il rapporto era di mille cittadini ogni medico.

Oggi siamo a millecinquecento/milleottocento. Bisogna

ripuntare a quel parametro più basso.

D: La vostra proposta

R: La nostra indicazione è che le regole del Contratto

integrativo nazionale, oggi inadeguate a garantire gli

obiettivi di salute, siano modificate e aggiornate. In

Emilia Romagna ad esempio l’accordo regionale vigente

risale al 2006: proponiamo di riscrivere completamente le

convenzioni nazionali aggiornandole tenendo presente

comunque anche le richieste che le amministrazioni

avanzano giustamente, piuttosto che … buttare il bimbo

con l’acqua sporca. E come già detto rivedere a scadenze

riavvicinate, le modalità per registrare le carenze di tutto il

settore sanitario. Un adeguamento dei contratti di lavoro

dei medici di famiglia non solo sul versante economico

ma anche sulle regole. Ad esempio durante la

rinegoziazione del contratto, di competenza regionale,12

Si sarebbe dovuto fissare un nuovo monte ore di presenza

del medico; oppure le modalità della sua attività ovvero la

reperibilità oggi esclusa dal contratto; e per finire le

“visite a domicilio” ora obbligatorie solo per visitare i

malati allettati. Ma questo non è avvenuto: al contrario

rivedere quei parametri permetterà di avere un punto di

equilibrio tra tutte quelle funzioni del medico.

D: Dunque riprogrammare i fabbisogni, adeguare il

contratto di lavoro e soprattutto aprire la formazione

anche ai medici che lavorano. Ma quali sono oggi i

punti per una corretta formazione del medico?

R: Innanzitutto la formazione dovrebbe essere

continuamente aggiornata. In Italia per il medico

generalista fino ad ora non era previsto un percorso di

pratica come avviene negli altri Paesi. Bisogna che anche

da noi sia richiesta l’acquisizione di molta più abilità

pratica. Poi è indispensabile disporre un sistema

informatico per registrare le skills maturate da inserire nel

percorso formativo obbligatorio. Faccio un esempio. Devo

imparare a fare le flebo? Bene, quelle che faccio, trenta o

quaranta, devono essere certificate. Non importa se

eseguite con successo all’interno di un percorso ufficiale o

come volontario; importante è che possa certificare queste

pratiche in un curriculum teorico.13

L’altro aspetto di una moderna formazione riguarda le

materie delle lezioni. Non è necessario creare 21

commissioni per affrontare ad esempio il tema del

colesterolo: il tema sarà uguale in ogni regione. Alcune di

queste tematiche possono essere standardizzate per

lasciare invece spazio alla discussione dei casi clinici più

problematici, a incontri con esperti che possono avvenire

anche per via telematica. Infine bisogna educare i futuri

medici alla responsabilizzazione dei pazienti sui consumi

farmaceutici. In Italia la spesa farmaceutica nazionale

pubblica e privata è in continuo aumento. (2) Un ricorso

eccessivo del farmaco che dilapida consistenti risorse.

D: Qual è il sistema sanitario più virtuoso al mondo?

R: I Sistemi sanitari sono molto diversi da Paese a Paese.

In Francia vi è un regime misto su base assicurativa così

come in Svizzera; forse l’Inghilterra ha il sistema che più

assomiglia al nostro. In realtà il Sistema Sanitario italiano,

così come fu concepito ventitré anni fa, era sicuramente il

migliore fra tutti, ma poi è via via cambiato. Se ci fossimo

attenuti al modello iniziale avremmo oggi la Sanità più

virtuosa in Europa, avremmo avuto carenze più

sostenibili, si sarebbe potuto migliorare il settore

infermieristico e le forme contrattuali.

D: Per chiudere. Lei è ottimista sul futuro del medico

di base?

R: Con queste premesse non sono molto ottimista. Spero

che si inverta la tendenza di alcune decisioni.14

Con questa riforma intermedia che prevede la possibilità sia

di fare il medico di famiglia che la guardia medica, si è

persa la prospettiva dell’evoluzione di carriera. I giovani

stanno abbandonando anche i corsi di formazione. Se la

direttiva europea fosse recepita tutta, andrebbe a togliere una

serie di blocchi, di incompatibilità. Il medico di medicina

generale neolaureato potrebbe lavorare e

contemporaneamente fare la specializzazione, ad esempio in

cardiologia, anche part-time. Si darebbe un nuovo senso alla

forza lavoro; si ristabilirebbe una sana competitività

all’interno della categoria oltre che promuovere la legittima

aspirazione a migliorarsi. Tutto questo oggi in Italia non è

possibile: si sta trasformando un lavoro professionale in un

lavoro impiegatizio che opera secondo percorsi burocratici

definiti da altri.15

CAPITOLO II

D: Come si diventa medico di base: la testimonianza

della dott.ssa Serena Bolognesi. (n.2)

R: Dopo la laurea ho iniziato a lavorare per necessità.

Prima le sostituzioni in medicina generale, poi nei servizi

e assegnata in guardia medica con contratti del ASL. Il

mio era un lavoro molto ambito e lo svolgevo con

soddisfazione. Quando è stato il momento di fare il corso

di formazione di medicina generale ho dovuto fare subito

i conti con un paradosso. I posti erano limitati, e la

graduatoria veniva formulata in modo che il più giovane

fresco di laurea, fosse al livello più alto. Per cui se ad

esempio erano disponibili 95 posti, potevo raggiungere

lo stesso punteggio dell’ottantesimo candidato ma poiché

vi erano 100 persone che avevano raggiunto il mio stesso

punteggio, io non potevo entrare nel corso di formazione.16

La normativa europea dice che se io esercito in uno stesso

settore e per lo stesso numero di anni previsti per la

formazione (tre) è riconosciuto che abbia già maturato i

titoli per cui non avrei dovuto neppure fare il corso di

formazione. Questo vale per tanti altri miei colleghi che

hanno lavorato molti anni più di me. Purtroppo questa

legge non viene applicata. Significativo il caso di una mia

collega che nonostante avesse un’ esperienza lavorativa di

20 anni, non le veniva riconosciuta per ottenere la

certificazione necessaria per fare il medico di famiglia.

Ho fatto fatica anch’io ad essere ammessa al corso

formativo nonostante avessi già praticato l’attività medica

in numerosi contesti e con contratti. Avevo fatto ricorso

che però non è stato accettato. Per fortuna ho avuto la

possibilità di entrare nel corso attraverso il decreto

Calabria che aveva disposto una graduatoria parallela che

dava credito ai miei titoli di lavoro.17

CAPITOLO III

LA TESTIMONIANZA DI UN MEDICO DI

FAMIGLIA, UNA DOTTORESSA CON

AMBULATORIO NEL BOLOGNESE

D: Affrontiamo subito il tema più controverso. Quanto

guadagnano i medici di famiglia?

R: Abbiamo una quota capitaria di 35 euro ogni nostro

assistito a cui va aggiunta un’altra piccola quota, circa 2-3

euro a persona, per gli over ’75 e per i ragazzi sotto i 10

anni. Poi abbiamo una serie di incentivi, per seguire i

diabetici; altra piccola indennità se oltre le ore di

ambulatorio visitiamo a casa pazienti in condizioni di

fragilità; se utilizziamo il computer, se utilizziamo alcuni

tipi di programmi informatici e infine se accettiamo di

fare la formazione. Con questi ulteriori scatti, considerato

che un medico di famiglia può avere per legge fino a 1550

pazienti, lo stipendio lordo di un medico di famiglia può

andare da 7550 euro a 8000. Alcuni medici possono

toccare gli 11.000 se accettano di offrire servizi aggiuntivi

come le prestazioni infermieristiche di cui si fa carico il

medico e l’ASL con un piccolo contributo.

D: A quanto ammonta invece lo stipendio al netto?

R: Almeno del 40%. Innanzitutto abbiamo una

tassazione di base sul cedolino della quota capitaria che18

invia la Regione. Poi dobbiamo pagare una quota

all’ENPAM (la nostra Cassa) pari a 20 mila euro l’anno. A

questi importi bisogna aggiungere la spesa per

l’assicurazione personale contro danni nei confronti degli

utenti: una assicurazione privata. Dobbiamo pagare noi la

segretaria, l’infermiera. Paghiamo l’affitto dello studio e

di tutti gli accessori per lavorare. Ci paghiamo tutte le

voci che riguardano le comunicazioni e i contatti dal

telefono all’automobile. Non abbiamo mensa aziendale

come gli ospedalieri.

D: Siete trattati come liberi professionisti e dovete

pagare tutte le spese inerenti al vostro lavoro.

R: Sì. Non abbiamo pagata ad esempio la malattia. Se ci

ammaliamo o vogliamo andare in ferie dobbiamo

utilizzare un sostituto a nostre spese. Spese che si

aggirano, se hai circa 1500 pazienti, sui 150 euro al giorno

che possono aumentare un po’ d’inverno perché si lavora

di più e diminuire d’estate. Quando sei in gravidanza

l’ENPAM ci riconosce una quota per 5 mesi in relazione

al guadagno che hai avuto nei due anni precedenti. Quindi

come nel mio caso, se durante la gravidanza stai

studiando, non ricevi nulla. Negli anni successivi, durante

le altre gravidanze venivano applicati parametri del figlio

precedente, e quindi ho sempre avuto quote minime che

non superavano il 400, 500 euro al mese con cui

ovviamente non mi mantenevo. Per questo dovevi tornare

subito a lavorare.19

D: Come risolvere il problema della carenza dei medici

di base?

R: Bisognerebbe rivedere la programmazione.

Innanzitutto credo il direttore sanitario dovrebbe rimanere

in carica più a lungo, il tempo necessario per vedere

applicata quella impostazione, con una visione proiettata

nel futuro.

D: Facciamo un esempio?

R: Vi è stato un momento in cui la Regione voleva

accentrare il lavoro dei medici in un’unica struttura, la

Casa della salute. I pazienti dovevano fare chilometri e

chilometri per arrivare da noi. Bene è cambiato il

Dirigente che sceglie al contrario il decentramento e

smantella la Casa della salute; instaura dei poliambulatori

capillari nel territorio e cambia radicalmente l’assetto

strutturale della medicina di base. Si sono buttate vie

risorse e fatto spese inutili: è la prova che non c’è

programmazione a lungo termine. Il vero problema è dato

dal prossimo pensionamento dell’80% dei medici di base,

tutti nello stesso momento (con il Covid la situazione è

peggiorata perché’ chi era vicino alla pensione è

scappato), e ci siamo trovati con un buco che però era

prevedibile.20

D: Basta leggere i dati di 40 anni fa.

R: Ora bisogna rivedere le modalità della formazione.

Mancano centinaia di medici ma l’ente che li forma, ne

sforna 30 all’anno. I concorsi per accedere sono regionali

e la Regione ha istituito alcune sedi in quasi tutte le

Province. A seguito di un esame ( che avviene con il

metodo delle risposte di un questionario a “crocette”, si

accede alla graduatoria che però non è legata solo al

risultato della prova scritta ma è anche al dato anagrafico.

A parità di punteggio, i medici anziani, nonostante

abbiano una lunga esperienza lavorativa vengono posposti

alla fine della graduatoria.

D: Vi si accusa di lavorare poche ore.

R: personalmente, con 1500 assistiti, lavoro tra le 3 alle 4

ore al giorno, una media di 40/50 ore settimanali. A cui

dobbiamo aggiungere i momenti per la formazione,

almeno un sabato al mese.

D: La nuova riforma rischia di eliminare il rapporto

fiduciario con il paziente?

R: I nostri assistiti ora hanno come riferimento il loro

medico di base. Solo se siamo assenti può subentrare un

sostituto. Quindi io medico sono responsabile della

relazione con il mio paziente. Nel momento in cui

diventeremo ORE MEDICO, i pazienti vedranno sempre

più di rado il loro medico di famiglia21

sostituito di volta in volta da un medico diverso, che non

conosce la storia del mio paziente e quindi non può

personalizzare la cura.

D: Quando vi è bisogno di personalizzare la cura?

R. Ad esempio se vi è un malato, magari anziano, che

deve prendere tanti farmaci in un giorno, ma che non è in

grado di farlo da solo. Spesso i pazienti usciti

dall’ospedale o da una visita specialista, non riescono a

inghiottire i farmaci prescritti perché sotto forma di

capsule. Sarebbe più agevole per lui prescrivergli le

bustine. Sono piccoli particolari ma se conosci la persona

riesci a modificarle la terapia. Solo frequentando la

famiglia con visite domiciliari vengo a conoscenza in che

contesto vive il paziente, quali sono le risorse della

famiglia, economicamente ma anche sul versante

dell’assistenza del loro familiare anziano. Ad esempio se

i parenti lavorano invece di prescrivere l’assunzione dei

famaci nell’arco della giornata, la concentro alla mattina,

prima che vadano al lavoro, e alla sera quando rientrano a

casa.

D: Conferma che il rapporto di fiducia medico e

paziente fa la differenza nella cura.

R: Un altro punto delicato è la scelta dei medicinali da

prescrivere è la demonizzazione ad esempio della Statina.

Decido di prescrivere un fitofarmaco con una tempistica:

se entro 6 mesi non vediamo un miglioramento cambiamo22

farmaco. Questo però è possibile se l’assunzione è

monitorata nel tempo, un monitoraggio sia per il

miglioramento sia per il rischio di peggioramento. Questo è

possibile se segui il paziente che ha instaurato con te un

rapporto di fiducia. Tutto questo si perderebbe con il

medico unico.23

NOTE

(n. 1) ROBERTO PIERALLI – Medico di Emergenza

Territoriale Azienda USL di Bologna Impresa, settore

Sanità e assistenza sociale. Presidente regionale dello

SNAMI .

(n. 2) Dati rilevati da AIFA Rapporto OsMed 2023 “L’uso

dei farmaci in Italia” presentato a novembre 2024.

(n. 3) Serena Bolognesi – Medico di Medicina generale

(4) M. G. F Medico di famiglia

( 5) Gazze a ufficiale dell’Unione Europea L.255/22

IT DIRETTIVA 2005/36/CE DEL PARLAMENTO

EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 7 se embre 2005

rela va al riconoscimento delle qualifiche

professionali.Fulvia Sisti giornalista saggista

Giornalista RAI dal 1991 al 2015. Nel 2017 ha pubblicato il

suo libro “La Buona Banca. La lezione di Raffaele Mattioli”

per i Saggi della Historica Edizioni. Nel 2011 esce il libro “Il

Valore dell’impresa” edito da Minerva.

Roberto Pieralli – Medico di Emergenza Territoriale

Azienda USL di Bologna Impresa, settore Sanità e

assistenza sociale. Presidente regionale dello SNAMI .

Serena Bolognesi – Medico di Medicina generale

M. G. F – Medico di famiglia

Stampato a Ferrara il 05-05-2025

 

COMMENTS